Deliberazione n. 122/2016/PAR - C conti Marche -


L'art. 3, comma 4, d.l. n. 95 del 2012 è applicabile anche a rapporti contrattuali in cui il bene utilizzato è di proprietà di un'altra amministrazione pubblica.
I rapporti contrattuali possono rigurdare oltre che la locazione di beni patrimoniali disponibili anche la concessione di beni appartenenti al patrimonio indisponibile oppure al demanio.
La norma in esame si applica anche nel caso di utilizzo di beni in assenza di titolo
In senso contrario Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna (deliberazione 15.12.2015, n. 157)

art. 3 c. 4.DL 95/2012: Ai fini del contenimento della spesa pubblica, con riferimento ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali,...... i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal 1° luglio 2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto. .......si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data. La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di titolo alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rinnovo del rapporto di locazione e' consentito solo in presenza e coesistenza delle seguenti condizioni: a) disponibilita' delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d'uso, per il periodo di durata del contratto di locazione; b) permanenza per le Amministrazioni dello Stato delle esigenze allocative in relazione ai fabbisogni espressi agli esiti dei piani di razionalizzazione di cui all'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009,n. 191, ove gia' definiti, nonche' di quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti.

PARERE COMUNE DI MACERATA

Visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione;
Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20 recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131 recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il regolamento n. 14/2000 per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000 e successive modificazioni;
Vista la deliberazione della Sezione delle autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004 avente ad oggetto gli indirizzi ed i criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva e successive modificazioni ed integrazioni rese con la deliberazione n. 9 del 4 giugno-3 luglio 2009;
Vista la deliberazione 28 novembre 2013, n. 77 resa da questa Sezione ed avente ad oggetto indirizzi e criteri generali per l’attivazione della funzione consultiva;
Vista la richiesta di parere formulata dal Comune di Macerata con nota prot. 31846 del 20.5.2016 pervenuta tramite il Consiglio delle Autonomie Locali con nota prot. n. 143 del 30.5.2016;
Visto i successivi provvedimenti con i quali è stato nominato il Consigliere Pasquale Principato relatore per la questione in esame ed è stata fissata l’odierna camera di consiglio; >Udito il relatore dott. Pasquale Principato; Ritenuto in

FATTO

Il Comune di Macerata, con nota a firma del sindaco, ha formulato ai sensi dell’art. 7, comma 8, l. 5.6.2003, n. 131, una richiesta di parere in ordine all’interpretazione dell’art. 3, comma 4, d.l. 6.7.2012, n. 95 convertito con modificazioni dalla l. 7.8.2012, n. 135, come modificato dall’art. 24, comma 4, d.l. 24.4.2014 n. 66 convertito con modificazioni dalla l. 23.6.2014, n. 89.

La richiesta premette in fatto che il Comune di Macerata, con contratto di concessione del 16.2.2000, aveva dato in godimento all’Università degli Studi di Macerata l’immobile (appartenente al demanio comunale) noto come “Palazzo Conventati” per lo svolgimento di attività istituzionale.

Nel luglio del 2013 l’Università aveva comunicato il proprio recesso dal contratto, a far data dal 31.7.2014; l’immobile veniva però rilasciato solamente il 30.11.2015.
Pertanto, “ai fini della definizione dei rapporti economici conseguenti”, l’ente domanda ora di conoscere se l’art. 3, comma 4, citato “sia applicabile al contratto in questione, come richiesto dall’Università”.

Il Comune indica inoltre alcuni argomenti a favore sia della soluzione negativa che di quella affermativa.
Chiarisce infine di non avere ancora assunto decisioni al riguardo e che non pendono procedure giurisdizionali.

MOTIVAZIONE DELLA DECISIONE

1. La richiesta di parere è ammissibile.
Risulta infatti sottoscritta dal sindaco ed è pervenuta per il tramite del Consiglio delle autonomie locali.
Quanto ai requisiti oggettivi, la richiesta ha ad oggetto l’interpretazione di una norma dalla dichiarata finalità di contenimento della spesa pubblica, e quindi pienamente rientrante nella materia della contabilità pubblica che legittima la funzione consultiva della Sezione regionale di controllo.
Inoltre, si possono allo stato escludere interferenze con funzioni di controllo o giurisdizionali svolte dalla magistratura contabile così come con giudizi civili o amministrativi pendenti. Pertanto, il quesito riguarda la mera interpretazione della norma, senza che questa Sezione abbia cognizione di elementi fattuali relativi alla specifica vicenda e ai rapporti intercorsi tra l’amministrazione richiedente il parere e l’amministrazione utilizzatrice dell’immobile (elementi che, infatti, non sono nemmeno richiamati nella richiesta di parere). Restano quindi ferme e impregiudicate le valutazioni dei soggetti competenti in merito alla concreta vicenda gestionale.

2. Passando al merito, occorre richiamare il testo della disposizione da interpretare.
L’art. 3, comma 4, d.l. n. 95 del 2012, nel testo in vigore, dispone che “Ai fini del contenimento della spesa pubblica, con riferimento ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal 1° luglio 2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto. A decorrere dalla data dell'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto la riduzione di cui al periodo precedente si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data. La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di titolo alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rinnovo del rapporto di locazione è consentito solo in presenza e coesistenza delle seguenti condizioni:

a) disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d'uso, per il periodo di durata del contratto di locazione;
b) permanenza per le Amministrazioni dello Stato delle esigenze allocative in relazione ai fabbisogni espressi agli esiti dei piani di razionalizzazione di cui dell'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ove già definiti, nonché di quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti.

 

Per effetto dell’art. 24, comma 4, lett. b), d.l. 24.4.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla l. 23.6.2014, n. 89, le norma di cui ai commi 4, 5 e 6 sono divenute applicabili anche alle altre amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, in quanto compatibili. Da qui la rilevanza della richiesta di parere, essendo l’immobile di proprietà del Comune di Macerata nel godimento di una Università, per l’uso istituzionale della stessa.

3. La richiesta di parere, avuto riguardo alla specifica fattispecie gestionale, comprende due profili tra loro strettamente connessi. Infatti, come esposto in fatto, il Comune di Macerata ha adottato un provvedimento di concessione di un proprio bene a favore della locale Università. Invece, la disposizione in esame ha testualmente ad oggetto i contratti di locazione passiva: chiare in tal senso sono la rubrica dell’articolo 3 (“Razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive”) e le espressioni utilizzate nel comma 4, ma anche nel comma 1 ai fini del congelamento dell’aggiornamento relativo alle variazioni degli indici ISTAT previsto dalla normativa vigente.

Tenuto conto della necessaria natura pubblica dell’ente proprietario di un bene dato in concessione, la soluzione del problema sull’applicabilità della norma in esame anche a tale tipologia di provvedimento assorbe, evidentemente, l’altra questione interpretativa che pure è stata posta, e cioè se la stessa sia applicabile ai rapporti tra due amministrazioni pubbliche, aventi ad oggetto l’utilizzazione di un immobile di una per le esigenze istituzionali dell’altra.

4. Sulla questione si è già espressa in sede consultiva la Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna (deliberazione 15.12.2015, n. 157), escludendo l’applicazione dell’art. 3, comma 4, cit., alla concessione di beni pubblici: “presenta non pochi profili di criticità l’applicazione di una norma di carattere eccezionale, prevista per l’ipotesi di contratti di locazione, a una concessioni di beni. "la disposizione del novellato art.3, comma 4 del d.l. n.95/2012 non pare applicabile nell'ipotesi in cui il rapporto intervenga tra due pubbliche amministrazioni. E' preclusiva, in tal senso, l'interpretazione finalistica e financo letterale della normativa richiamata avente, peraltro, natura di norma eccezionale e, come tale insuscettibile di applicazione "oltre i casi e i tempi" in essa considerati (cfr. art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale). Si osserva, infatti che la statuizione oggetto di disamina è applicabile, prima di ogni ulteriore considerazione, quando realizzi la finalità richiamata nel testo di legge di "contenimento della spesa pubblica". All'evidenza, tale finalità non si realizza qualora il rapporto concessorio, cui sarebbe eventualmente da applicare la riduzione automatica del canone nella misura del 15 per cento, intervenga tra due pubbliche amministrazioni. Infatti l'effetto pratico sarebbe del tutto neutro rispetto all'obiettivo del contenimento della spesa pubblica, essendo di assoluta evidenza che l'inserzione automatica ex art.1339 c.c. di una tale clausola nel rapporto intercorrente tra due pubbliche amministrazioni, pur comportando per l'una un risparmio nella misura del 15 per cento di quanto corrisposto in precedenza, per l'altra comporterebbe, in egual misura, un minor introito.
Preliminarmente, non è revocabile in dubbio e si ribadisce il carattere di norma eccezionale della previsione citata, appunto di eccezione alla regola generale, principio cardine dell’ordinamento, per cui le parti del rapporto negoziale (nella fattispecie locativo) sono vincolate nei termini contrattualmente previsti. Ne consegue, pertanto, che l’insuscettibilità dell’applicazione analogica, ovvero in casi simili o materie analoghe, della norma di carattere eccezionale, inevitabilmente preclude che una previsione normativa formulata per un contratto di locazione trovi applicazione per la fattispecie non sovrapponibile di un rapporto di concessione di beni demaniali o patrimoniali indisponibili, attesa la loro diretta destinazione alla realizzazione di interessi pubblici (cfr. Cass., SS.UU., 26 giugno 2003, n. 10157).”

5. Il Collegio non ritiene di poter condividere tale orientamento.
5.1 Infatti, è ben vero che il dato testuale della norma si riferisce alle locazioni passive, ma la disciplina introdotta dall’art. 3, comma 4 è dichiaratamente rivolta “ai fini del contenimento della spesa pubblica”. Sotto tale profilo, la situazione in cui si trova un’amministrazione pubblica utilizzatrice a titolo oneroso di un immobile per propri fini istituzionali è assolutamente identica sia quando il rapporto con il proprietario è disciplinato da un contratto di locazione, sia quando il titolo abbia natura pubblicistica e quindi di concessione.
In primo luogo, occorre richiamare i criteri che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, vanno utilizzati per individuare la reale natura di un bene pubblico non demaniale (atteso che la definizione di tale categoria è tassativa) e cioè per distinguere tra la categoria dei beni del patrimonio indisponibile da quello disponibile.
Pertanto, “affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del ‘nomen iuris’ che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario.” (Cass. civ., SS. UU., ord. 25.3.2016, n. 6019, CED RV 638987).


Come ricordato anche da questa Corte (Sezione regionale di controllo per la Sardegna, deliberazione 7.3.2008, n. 4), l’amministrazione non gode di discrezionalità nel compiere la scelta tra i due strumenti di attribuzione in godimento del bene a soggetti terzi (concessione l'amministrativa e locazione) del bene e deve avere quale parametro di riferimento esclusivo la natura (demaniale, patrimoniale indisponibile o patrimoniale disponibile) del bene ed il regime giuridico cui conseguentemente è sottoposto (cfr. anche Cons. Stato, sez. V, sent. 27.4.2015, n. 2060 e TAR Molise, sent. 12.6.2015, n. 247). La qualificazione in termini di bene pubblico in senso proprio o meno di una struttura di proprietà di un ente pubblico costituisce dunque valutazione di merito dell’amministrazione, assoggettata comunque al sindacato giurisdizionale.

Ne consegue che per individuare la reale natura del rapporto e quindi farne discendere l’applicazione o meno dell’art. 3, comma 4, cit., non è dirimente il dato testuale utilizzato dalle parti.


5.2 Per altro verso, anche per i beni del patrimonio indisponibile, è notoria la costruzione secondo cui la concessione amministrativa assume normalmente la configurazione della concessione-contratto. Tale fattispecie complessa risulta dalla convergenza di un negozio unilaterale ed autoritativo (atto deliberativo) della p.a. e di una convenzione attuativa (contratto, capitolato o disciplinare) e quindi di un rapporto contrattuale bilaterale fonte di obblighi e diritti reciproci dell’ente concedente e del concessionario.

A tale riguardo, va richiamata la disciplina posta dal d.P.R. 13.9.2005, n. 296 recante “Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato”. Ai sensi dell’art. 1, tale regolamento disciplina il procedimento per l’affidamento in concessione ovvero in locazione dei beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato, gestiti dall’Agenzia del Demanio, “destinati ad uso diverso da quello abitativo e:

a) non idonei ovvero non suscettibili di uso governativo, concreto ed attuale;
b) non inseriti nei programmi di dismissione e di valorizzazione di cui ai commi da 01 a 10 dell'articolo 19 della legge 23.12.1998, n. 448, e successive modificazioni;
c) non inseriti nei programmi di dismissione e di valorizzazione di cui al decreto lette 25.9.2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.11.2001, n. 410;
d) che non sono oggetto delle procedure di cui al decreto legge 15.4.2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15.6.2002, n. 112;
e) non inseriti in elenchi di beni dismissibili, ai sensi dell'articolo 3, comma 112, della legge 23.12.1996, n. 662, e successive modificazioni.”
Di interesse è l’art. 4, rubricato “Condizioni delle concessioni e delle locazioni”; esso dispone che “1. Il canone ordinario è commisurato ai prezzi praticati in regime di libero mercato per analoghe tipologie, caratteristiche e destinazioni d'uso dell'immobile, come accertati dai competenti uffici dell'Agenzia del demanio.
2. Il canone è adeguato annualmente in misura corrispondente alla variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nell'anno precedente.
...”

Da tale disposizione si può trarre una precisa indicazione precettiva del legislatore per l’omogeneità di disciplina tra i due regimi di affidamento del bene (locazione o concessione) con riferimento alla determinazione del canone, che va in entrambi i casi commisurato ai prezzi praticati in regime di libero mercato.

Pertanto, una norma che, al dichiarato fine di contenimento della spesa pubblica, riduce il canone di locazione di un bene immobile utilizzato da una p.a. e ne blocca l’adeguamento secondo gli indici ISTAT, ben può applicarsi al rapporto convenzionale accessorio a un provvedimento di concessione di un bene ugualmente utilizzato per fini istituzionali e il cui canone è determinato secondo gli stessi parametri. Si tratta, infatti, di trattamento uguale di situazioni esattamente comparabili.

La norma considera infatti prioritaria l’esigenza di ridurre gli oneri correnti sostenuti per il godimento di immobili per l’uso istituzionale, richiedendo altresì nel medio periodo un’attività di riorganizzazione e accorpamento delle strutture, anche per diminuire i costi di manutenzione.

Il fatto che il bene utilizzato sia di proprietà pubblica non può influire ai fini dell’applicabilità della norma: se il bene in questione è qualificabile come patrimonio disponibile, sono gli stessi principi generali a richiedere la stipula di un contratto di locazione per la concessione in godimento a terzi, non importa se soggetti privati o pubblici. Ma anche nei casi in cui il bene sia classificato nel patrimonio indisponibile o nel demanio, la natura pubblicistica del titolo che ne concede il godimento a terzi non rende di per sé inapplicabili i principi e le disposizioni in materia di determinazione del canone esigibile.

Coerenti con tale impostazione sono le modifiche, apportate sempre dall’art. 3 d.l. citato (comma 2), al d.P.R. 13.9.2005, n. 296 e all’art. 1, comma 439, l. 30.12.2004, n. 311: con esse, il legislatore ha inteso incentivare la concessione in uso gratuito di immobili tra amministrazioni pubbliche. Tale agevolazione, seppure condizionata alla volontà dell’ente proprietario, conferma che l’interesse dell’ente proprietario a massimizzare il provento del canone ben può essere compresso nell’obiettivo di contenere la correlativa spesa dell’ente utilizzatore.

5.3 Da ultimo, a sostegno della tesi che collega l’applicabilità dell’art. 3, comma 4, cit. alla effettiva utilizzazione di un bene per un uso istituzionale (e quindi non necessariamente alla esistenza di un contratto di locazione), va osservato che la norma in esame si applica anche nel caso di utilizzo di beni in assenza di titolo (quarto periodo della norma citata).

6. Quanto alla applicabilità dell’art. 3, comma 4, d.l. n. 95 del 2012 a rapporti contrattuali in cui il bene utilizzato è di proprietà di un’altra amministrazione pubblica, da quanto fin qui esposto consegue ovviamente che il Collegio ha accolto la tesi positiva.
Tale assunto, peraltro, era stato già da tempo affermato dalle sezioni regionali di controllo di questa Corte, sulla base essenzialmente dell’argomento:
a) della volontà del legislatore di ridurre i costi delle amministrazioni che utilizzano immobili di terzi e
b) dell’assenza di una espressa limitazione di siffatta riduzione del canone ai contratti con proprietari privati (così come era accaduto con l’art. 1, comma 478, l. 23.12.2005, n. 266) limitazione che, peraltro, non poteva altrimenti ricavarsi a livello interpretativo senza discriminare ingiustificatamente i proprietari privati da quelli pubblici (cfr. sez. reg. controllo Trentino-Alto Adige, sede di Trento, delib. 24.6.2013, n. 5 e, da ultimo, sez. reg. contr. Emilia Romagna, delib. 3.5.2016, n. 45).

P.Q.M.

nelle considerazioni sopra esposte è il parere della Sezione regionale di controllo per le Marche. La presente deliberazione verrà trasmessa a cura della segreteria al Sindaco del Comune di Macerata.
Così deliberato in Ancona, nella camera di consiglio del 15 giugno 2016.


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